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Sezione di Geografia ed Ecologia

Questa sezione non verrà più aggiornata. I  nuovi articoli su argomenti di ecologia e geografia vengono ora pubblicati su Pergamon Journal Science, la nuova sezione del Pergamon Journal Air.
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Energia solare: un piano per le centrali

La speranza è che sia l'inizio di una svolta. Il Ministro per l'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, ha istituito una task force, guidata dal premio Nobel Carlo Rubbia, che dovrà avviare il solare termodinamico in Italia. O meglio, indicare la strada da percorrere per cercare di imitare altri Paesi europei, come la Spagna, la Germania, o alcuni stati degli Usa, come la California. Non si tratta più soltanto di qualche pannello solare sui tetti (che pure dovrebbero essere molti di più). Il solare termodinamico a concentrazione utilizza collettori parabolici lineari e configura delle vere e proprie «centrali» elettriche, ma ovviamente pulite e senza emissioni. Da circa 20 anni sono in esercizio nove grandi impianti di questo tipo in California per una potenza elettrica complessiva di oltre 350 megawatt. In Europa la Spagna ha avviato dal 2004 un programma industriale per la realizzazione di una trentina di centrali per una potenza di 1.300 megawatt/ora. Ogni collettore parabolico di questi impianti è costituito da un riflettore di forma parabolica, ovvero uno specchio di vetro, in grado di concentrare i raggi solari su un tubo ricevitore nel fuoco della parabola. «La tecnologia - dice Rubbia - non è in competizione con il fotovoltaico, che e' una soluzione distribuita sul territorio, o con l'eolico. Questi sono invece grandi impianti capaci di accumulare energia» e di funzionare anche in condizioni meteo sfavorevoli. Tra l'altro, sottolinea Rubbia, per la costruzione di questi impianti non serve necessariamente un impegno economico da parte del governo: lo sviluppo di questa tecnologia può essere basata su un sistema di autofinanziamento da parte delle industrie.

Il piano energetico Ue

Il collegio dei commissari della Commissione europea ha approvato il pacchetto di proposte legislative per la lotta al cambiamento climatico. Le proposte, articolate in cinque differenti normative, mirano a rendere operativi gli impegni presi a marzo dell'anno scorso dall'Unione europea per una riduzione delle emissioni di Co2 del 20% entro il 2020, un aumento della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili del 20% e un aumento della quota di utilizzo di biocarburanti nel settore trasporti del 10%.

Il pacchetto legislativo presentato dalla Commissione europea per ridurre le emissioni di Co2 dell'Ue del 20 per cento entro il 2020 è la proposta «più ambiziosa» fatta dalla Commissione da molti anni ma attuarla costerà meno dello 0,5 per cento del Pil, cioè circa 3 euro a persona da qui al 2020, ha affermato il presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso. «Gli sforzi aggiuntivi necessari per attuare le proposte sarebbero meno dello 0,5% del Pil entro il 2020 - ha detto Barroso - pari a circa 3 euro a settimana a persona: un vero impegno ma non un cattivo affare». Infatti, ha ricordato il capo dell'esecutivo comunitario, «anche nella più ottimistica delle ipotesi del rapporto Stern il costo dell'inazione è maggiore di dieci volte e ogni giorno che il prezzo del petrolio e del gas aumenta il costo reale del pacchetto diminuisce». Invece dei costi, ha aggiunto Barroso, «dovremmo parlare dei guadagni per l'Ue», perché le proposte sono calibrate in modo «da assicurare una campo di gioco paritario lasciando il più ampio margine possibile agli Stati membri» e assicurando che «la richiesta agli Stati membri più poveri sia realistica: tutti contribuiranno ma in linea con la loro capacità di investire».
Barroso ha poi confermato che le industrie ad più alto consumo di energia avranno quote di emissione di gas serra gratuitamente nel nuovo sistema di compravendita dei permessi di emissioni che verrà instaurato a partire dal 2013. Questo, a meno che non vi sia un accordo internazionale sulla riduzione delle emissioni nel quadro dei negoziati sulla lotta al cambiamento climatico per il regime successivo al periodo di applicazione del Protocollo di Kyoto (2008-2012). «Sappiamo tutti che ci sono settori in cui il costo della riduzione delle emissioni potrebbe avere un impatto reale sulla loro competitività nei riguardi delle società concorrenti nei paesi che non fanno nulla (per tagliare i gas serra, ndr). Non ha senso - ha spiegato Barroso - essere rigorosi in Europa se questo significasse trasferire la produzione verso paesi che consentono di fare ciò che si vuole con le emissioni. Un accordo internazionale è il miglior modo per affrontare questa questione, ma dobbiamo anche dare la certezza giuridica alle società sul fatto che noi intraprenderemo le azioni necessarie», ha concluso il presidente della Commissione europea.

Con l'attuazione delle proposte della Commissione europea per portare al 20 per cento la quota di energia prodotta da fonti di rinnovabili entro il 2020 sarà creato in Europa, secondo quanto ha detto Barroso, un milione di nuovi posti di lavoro.
Lo sforzo chiesto all'Italia nel piano di Bruxelles contro i gas serra.prevede che l'Italia tagli il 13% di emissioni di C02 nei settori non inclusi nel sistema di scambio di emissioni (Ets) e aumenti del 17% i consumi energetici da fonti rinnovabili entro il 2020, rispetto ai livelli del 2005., svelato oggi a Bruxelles.

Aiutate la Terra!

Gli scienziati che in diversi campi lavorano su argomenti teorici hanno come unico strumento la scrittura. È tutto molto semplice, almeno in apparenza. Quegli scienziati che fanno invece esperimenti lavorano in laboratorio. Il laboratorio potrebbe essere l’intero mondo, o lo spazio, oppure anche un modesto sgabuzzino. È sempre stato così e così continuerà ad essere. Ma se si chiede che cosa studieranno gli scienziati nel futuro — diciamo tra dieci o vent’anni —, rispondere può essere difficile, se non impossibile. Se si ritornasse all’inizio del ventesimo secolo e si facessero le stesse domande, ci si troverebbe esattamente nella stessa situazione: neanche allora si aveva idea di quel che il futuro avrebbe riservato. Ci sono state, certo, persone che hanno avuto idee abbastanza azzeccate, anche se restavano prive della capacità tecnica di spiegare in dettaglio come le loro intuizioni, seppur basate su principi fisici, potessero poi funzionare. Erano gli scrittori di fantascienza.

Jules Verne ci ha dato un quadro della vita nei sottomarini, con tanto di palombari che camminavano sui fondali dell’oceano. Ha anche ben prefigurato un viaggio sulla Luna, ma in questo caso sapeva solo vagamente quali problemi comportasse far superare a un razzo la forza di gravità della Terra. Oltre ad aver «inventato» l’uomo invisibile, H.G. Wells ha descritto una guerra tra una cultura aliena e la popolazione terrestre, e anche in questo caso sappiamo poco di come ne considerasse la possibilità in termini strettamente scientifici. C’erano anche scienziati che riuscirono a vedere le potenzialità che la scienza stessa aveva in sé. Le loro idee brillanti sono alla base di buona parte della tecnologia attuale.

Guglielmo Marconi è uno di questi. Ancora giovane, capì che le onde radio potevano essere inviate a grande distanza e riuscì a dimostrarlo trasmettendo segnali tra il Canada e l’Irlanda. Wilhelm Roentgen, tuttavia, non sapeva come si sarebbe evoluta la diagnostica per immagini ed Ernest Rutherford e Niels Bohr non poterono predire la scoperta delle particelle subatomiche o il fenomeno della risonanza magnetica. Tutto ciò conferma che il futuro delle scoperte scientifiche non è prevedibile, anche se possiamo immaginare da dove potrebbero scaturire alcune nuove e importanti conoscenze. Un’altra domanda cruciale riguarda il ruolo che gli scienziati avranno nel contesto sociale. Come saranno usate le informazioni da loro raccolte? Ci sarà forse qualcuno che ordinerà loro quali informazioni raccogliere? (Una prospettiva, questa, assai poco allegra).

Prendiamo Albert Einstein, probabilmente lo scienziato più famoso del ventesimo secolo sia per i suoi stessi colleghi sia per la gente comune. La sua capacità di valutare con chiarezza problemi al di fuori della fisica e di parlarne con grande forza e decisione era cosa davvero notevole. Incontrava volentieri le personalità del suo tempo: c’è un’indimenticabile serie di fotografie che lo ritraggono con Charlie Chaplin quando erano entrambi all’apice della fama. Ma Einstein, insieme a un altro fisico, Leo Szilard, ha contribuito a indurre il governo degli Stati Uniti alla costruzione di bombe atomiche per giungere alla distruzione delle armate naziste durante la Seconda guerra mondiale. Alla fine la guerra fu vinta, ma le cose andarono in modo un po’ diverso da come si sarebbe potuto sperare. Se dovesse infatti esserci un’altra grande guerra in cui una delle parti utilizzasse armi atomiche, l’ambiente— e il nostro futuro—sarebbero gravemente minacciati. Resto comunque convinto che gli scienziati dovrebbero agire per incoraggiare i governi a utilizzare le loro competenze specialistiche nel prendere le decisioni che influiranno sulla nostra società.

Non credo che gli scienziati si debbano limitare solo a una consulenza scientifica: dovrebbero anche indicare qual è l’uso ottimale delle loro conoscenze. Negli Stati Uniti siamo stati incoraggiati a dare ai nostri rappresentanti politici le informazioni che abbiamo, e a spiegare come possano essere utilizzate proficuamente nel prendere decisioni politiche. Diciamo che lo «stallo» che negli ultimi 62 anni ha impedito un conflitto nucleare continua. Ma come possiamo affrontare i crescenti problemi ambientali che negli Stati Uniti sono stati messi in evidenza per la prima volta negli anni 50 dalla biologa e scrittrice Rachel Carson? Inevitabilmente i combustibili fossili si esauriranno. Ci vorranno 100 anni, forse più. O forse di meno, dato che i Paesi che hanno il controllo della maggior parte del nostro combustibile fossile contano su di esso per il loro sviluppo. Dobbiamo trovare un modo per rendere pulite le emissioni di questi combustibili, cosa che al momento è estremamente costosa, e cercare di non dover contare su di essi per il trasporto e il riscaldamento.

Possiamo usare l’energia idroelettrica, quella geotermica e il vento per il riscaldamento e altri usi, ma non per i trasporti. Anche l’energia nucleare per usi pacifici sarebbe accettabile se riuscissimo a trovare come smaltire le scorie. Hanno notevole importanza anche le modificazioni genetiche di batteri, utili a pulire gli scarichi industriali, o quelle effettuate sugli alimenti che possono dar da mangiare alle masse di persone affamate nel mondo. In Europa il cibo modificato geneticamente può far risparmiare agli agricoltori il costo della disinfestazione dagli insetti dannosi e garantire che alcuni prodotti commestibili (non le imitazioni a buon mercato che mantengono il colore ma non il sapore) rimangano freschi più a lungo, senza una costante refrigerazione e senza sprechi dovuti a un rapido deterioramento.

Il beneficio arrecato a tante persone è un argomento— sia di carattere biologico sia economico — a favore dell’uso dell’ingegneria genetica. E infine, come immaginare il futuro? Forse pieno di veicoli a energia elettrica e una popolazione di robot intelligenti al nostro servizio? Queste suonano come idee ridicole. La cosa importante, la vera certezza è che — se non distruggeremo prima il pianeta — la meravigliosa imprevedibilità della scienza ci fornirà nuove prospettive su come sfruttare l’idrogeno e in generale su come usare elementi in modi che in precedenza non erano stati presi in considerazione.

Trip in Scotland

This year, I will organise a trip in Scotland, a beautiful country immersed in the nature and in the traditions. The trip will take 5 days, the best period is probably in May or June, in the other months it’s too cold or rainy.

clip_image004The first day I’ll take a direct low cost fly from Milano Malpensa to Edinburg’s Airport and I’ll stay at the Old Waverley Hotel, a Victorian hotel located on Princes Street, the main shopping street in Edinburg. Late in the morning, I’ll visit the city: the Edimburg Castle, the most famous of Scottish castles, that houses the Honours (Crown Jewels) of Scotland and the Stone of Destiny used for the coronation of the Scotland kings , the Royal Mile probably Edinburgh’s oldest street, that connects the Castle with Linlithgow Castle, a favoured residence of the Stewart kings and queens, where Mary Queen of Scots borned in 1542. In the afternoon I’ll do shopping in the center of the town, we can buy typical scots products as shetland pullovers, tweed jackets, single malt whisky and smoked salmon.

clip_image006The second day I will leave by car for the “Granite City” of Aberdeen, Scotland’s third largest city, where I’ll stay at the Thistle Aberdeen Caledonian, a modern hotel in the city center. In the afternoon I will visit Balmoral Castle that was purchased by Queen Victoria’s consort Prince Albert in 1852 and remains the favourite summer residence of Royal Family and Dunnotter Castle, impressive ruins on a cliff top overlooking the North Sea where in 1650 the crown jewels of Scotland were hidden for safekeeping when Oliver Cromwell invaded.

clip_image008The third day I’ll drive to Inverness, the capital of Highlands, I choose the Best Western Palace Hotel situated in a lovely spot- overlooking the River Ness and the Castle and ideal to explore the area. I will visit: Dunrobin Castle with his gardens based on Versailles; Loch Ness probably the best-known Scottish loch, thanks to its famous resident -Nessie- the elusive Loch Ness monster and Urquhart Castle, one of the largest in Scotland, built in the 1230s, was blown up in 1692 to prevent it falling into Jacobite hands, what’s left is a ruin jutting out into the loch; Cawdor a superb fairy-tale Castle, a magical name, romantically linked by Shakespeare with Macbeth.

clip_image010The fourth day, soon in the morning, I will leave for Glasgow, on the road I will stop to visit Eilean Donan’s forbidding crenellated tower rises from the water’s edge, joined to the shore by a narrow stone bridge and with sheer mountains as a backdrop, one of the most iconic images of Scotland; the neo-Gothic Inveraray Castle built in 1745, that remains the family home of the Dukes of Argyl and Stirling Castle, once the residence of Scottish kings, perches atop a long-extinct volcano, here Mary Steward spent her childhood and her coronation took place in the Chapel Royal in 1543, still here Mary’s son, the future James VI, was baptized. In the evening I’ll get to Glasgow and I’ll go to the Sherbrooke Castle a baronial castle style hotel in the most prestigious of residential areas.

clip_image012The fifth day it’s time to visit Glasgow, another important town in Scotland. I’ll go to the Cathedral allegedly located where the patron saint of Glasgow, Saint Mungo, built his church, it’s a superb example of Gothic architecture and one of the few Scottish medieval churches to have survived the Reformation unscathed, I’ll visit the University , founded in 1451 is the second oldest in Scotland and the fourth in the English-speaking world, it’s a ecclesiastical foundation and last the Glasgow Science Centre a major visitor attraction, located on the south bank of the river Clyde, it is a purpose built science centre comprising of three principal buildings: a science mall with general science learning exhibits, the Glasgow Tower and a IMAX cinema , late in the evening I’ ll leave for the airport where I’ll take a direct fly to Milano Linate.

Peggiora la qualità del cibo

Brutte notizie per i vegetariani. Anche i cibi coltivati subiranno le conseguenze negative del cambiamento climatico: frumento, riso, orzo e patate saranno meno nutrienti. A causa del riscaldamento globale le coltivazioni - da cui dipende la vita di miliardi di persone - daranno prodotti con un apporto proteico inferiore. Almeno così suggeriscono oltre 40 studi scientifici che hanno puntato la loro attenzione su come l’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera possa alterare le proprietà alimentari di grano, riso e orzo, secondo quanto riporta il New Scientist.

Sui raccolti, finora ci si è limitati a calcolare i danni collaterali collegati all’effetto serra: cicloni, tempeste e siccità. Come dimenticare l’ultima alluvione in Bangladesh che ha provocato circa 4 mila morti e 20 milioni di sfollati? Perdere un raccolta di un’intera nazione è certamente gravissimo. Ma ancora più grave sarebbe l'impoverimento di proteine in molti vegetali necessari all’uomo.

A valutare la quantità di proteine perduta dalle piante con l’aumento di anidride carbonica nell’aria sono stati alcuni ricercatori della Southwestern University di Georgetown (Texas), guidati da Daniel Taub. Per ottenere dei dati certi il team ha spruzzato le piante, coltivate in campo aperto, con il gas in diverse concentrazioni. E i risultati non sono proprio confortanti. Per frumento, orzo, riso e patate trattati con biossido di carbonio i livelli di proteine registrati sono diminuiti del 15% per alte concentrazioni di CO2.

Secondo Taub ciò accade perché inglobando più carbonio, le piante sono stimolate a produrre carboidrati a discapito delle proteine. Le conseguenze di una tale modificazione danneggerebbe relativamente le popolazioni sviluppate, abituate ad assumere proteine con la carne. D’altra parte genererebbe un grave problema alle tante popolazioni, meno sviluppate, che basano la loro dieta sui prodotti della terra. Per esempio, in Bangladesh l’80% delle proteine che la gente assume proviene dal racconto.

Nello studio queste trasformazioni drastiche si verificano per concentrazioni di anidride carbonica superiori a quelle attualmente presenti nella nostra atmosfera. Concentrazioni che Taub si augura di non raggiungere mai. In caso contrario, il problema si risolverebbe aumentando i livelli di azoto nel terreno. Per Arnold Bloom, un biologo della University of California di Davis, l’azoto aiuta infatti le piante a produrre proteine. C'è da dire, comunque, che non tutti gli scienziati sono così pessimisti: il collegamento tra clima e vegetazione ha dato infatti risultati variabili, non certi.

Alaska: il caldo minaccia una necropoli

Sepolti nel ghiaccio, poi restituiti all’aria e ora in balia delle onde. Questo il destino delle tombe degli Inupiat, popolazione indigena dell’Alaska, che dopo essere state conservate tra i ghiacci per secoli stanno progressivamente ricomparendo in superficie. E, se qualcosa non cambierà, presto verranno sommerse dalle acque sempre più calde del mare Artico. Accade in Alaska, a Nuvuk, o come si chiama ufficialmente adesso Point Barrow, il punto più settentrionale degli Stati Uniti. Una vera città-fantasma che si è trasformata in centro archeologico quando dieci anni fa il ghiaccio in liquefazione ha riportato alla luce i primi cadaveri. Per la gioia degli archeologi che ora stanno studiando il materiale riemergente. I cadaveri appartengono infatti ai residenti di Nuvuk, ed è probabile che si tratti del popolo di Thule, antenati degli odierni Inupiat. L’erosione dei ghiacci, con il mare che riconquista il suolo calpestabile, rischia adesso di far naufragare le aspettative per l’importante ritrovamento. Nuvuk si trova infatti al punto di congiunzione di due mari, quello di Beaufort e quello di Chucki, e gli effetti del riscaldamento globale si fanno sentire particolarmente qui a soli duemila chilometri dal Polo Nord. Cambiamenti nelle correnti e nella temperature delle acque circostanti hanno sancito un’erosione della superficie dai ritmi galoppanti, quasi 20 metri all’anno nell’ultimo lustro. Di questo passo i siti archeologici appena ritrovati rischiano di finire in acqua. E se il ghiaccio nasconde ma conserva, l’acqua distrugge irrimediabilmente i reperti. Gli studi fin qui condotti hanno permesso di osservare che i Thule di Nuvuk venivano sepolti in casse di legno o di osso di balena e spesso venivano ricoperti con pelli e pellicce. Nelle casse sono stati ritrovati alcuni utensili e delle pietre rotonde, probabilmente d’uso ornamentale durante il rito funebre. Dagli utensili gli studiosi contano di ottenere informazioni preziose per ricostruire la storia delle popolazioni artiche. La datazione dei reperti riemersi dai ghiacci non è ancora stata effettuata ma si presume che si possa trattare di una comunità insediatasi nella zona di Nuvuk mille anni fa. Nuvuk è stata abitata fino agli inizi del secolo scorso, quando i pochi uomini sopravvissuti l’hanno abbandonata trasferendosi nella vicina Barrow.

I verdi miti da sfatare... e qualche consiglio!

Essere "eco" al giorno d'oggi è un'autentica scommessa, perché molte delle regole che si credevano imprescindibili per ogni ambientalista "duro e puro" rischiano di essere solo dei luoghi comuni, tutti da sfatare. Magari con l'aiuto del libro "Shades of Green: A (Mostly) Practical A-Z for the Reclutant Enviromentalist" dello scrittore Paul Waddington, che, misurando le attività umane per gradazioni di verde (da cui, appunto, "shades of green"), ha scoperto come molti dei comportamenti (e dei prodotti) che si credono eticamente corretti siano, in realtà, esattamente l'opposto o quasi. Questi i più sorprendenti, a detta dello stesso Waddington dalle colonne del Times, che li ha divisi per cromia, spaziando dal verdissimo (il punteggio ecologicamente più alto) al verde scuro (una via di mezzo, comunque accettabile), arrivando fino al "nemmeno un accenno di verde", che rappresenta la peggior scelta eco-compatibile possibile.

LE BANANE
Verdissimo: commercio equo-solidale
Le economie di molte nazioni dipendono oggi dal commercio delle banane e appoggiare le associazioni di commercio equo-solidale è senz'altro un investimento ecologico.
Verde scuro: commercio equo-solidale o coltivazioni organiche
Entrambe le opzioni sono buone, perché contemplano bassi livelli di sostanze agrochimiche usate per la conservazione dei frutti e una produzione di cui possono beneficiare anche i piccoli agricoltori.
Nemmeno un accenno di verde: le vecchie banane.
Sono piene zeppe di pesticidi (cinque dei componenti chimici usati per le banane sono classificati come altamente tossici e tre di questi sono addirittura proibiti in Inghilterra) e le 4 società che gestiscono l’80% del mercato mondiale delle banane spendono più per i prodotti chimici che per i salari dei braccianti.

POMODORI
Verdissimo: i pomodori coltivati da soli.
Non necessitano di molto spazio e nemmeno di particolari accorgimenti, anche se durano solo da agosto a ottobre (previsione ovviamente riferita al clima inglese).
Abbastanza verde: pomodori importati dal Mediterraneo.
I pomodori inglesi arrivano in prevalenza dalla Spagna, dove c’è un largo uso di pesticidi, ma rispetto a quelli coltivati nelle serre più a nord, questi producono tre volte meno anidride carbonica perché non arrivano con i camion ma via mare.
Verde chiaro: i pomodori di serra.
L’eliminazione dei pesticidi ne ha favorito la produzione, seppur con la controindicazione di cui sopra.
Verde pallido: i pomodori da serra organici
Necessitano del doppio dell’energia e del 20% in più di acqua.
Neanche un po’ di verde: i pomodori di serra olandesi.
I Paesi Bassi sono il secondo esportatore di pomodori nel Regno Unito, ma avendo climi simili, non garantiscono alcun vantaggio in più.

MEDIA
Verdissimo: vivere scollegati.
Una persona veramente "eco" prende le notizie dagli altri membri della comunità e anche per le previsioni del tempo si fa come una volta, ovvero guardare la natura e tirare a indovinare.
Verde scuro: la radio
L’opzione perfetta del vero ambientalista, perché si consuma poca elettricità.
Verde: i giornali.
Secondo uno studio della Carbon Trust, per ogni singola copia di quotidiano si producono 174 grammi di anidride carbonica, che è più del triplo di mezz’ora di notiziari visti in tv ma meglio di 30 minuti su internet. Non solo. Il 70% dei giornali è oggi fatto con carta riciclata.
Verde chiaro: Internet.
Una ricerca ha stabilito che la potenza necessaria per i server sul web è di circa 170 miliardi di kilowatt all’anno. Ovvero, 234,7 grammi di emissioni di carbonio al giorno. Da qui, la preferenza per il cartaceo.

ANIMALI
Verdissimo: fauna del giardino e animali dello stagno.
Basta un disordine strategico in giardino per riempirsi di invertebrati, uccelli e piccoli mammiferi.
Altrettanto verde: le api da miele.
Recitano un ruolo fondamentale nell’impollinazione delle piante e dei fiori, senza dimenticare che da un singolo alveare si ricavano più di 40 chili di miele in un anno.
Verde chiaro: conigli
Per la verità, la loro capacità di distruggere sementi e ortaggi li rende una calamità per qualunque agricoltore, ma essendo commestibili, si meritano il bollino "eco".
Neanche un po’ verde: cani e gatti.
I cani inglesi consumano 765.000 tonnellate di cibo l’anno, che si trasformano in 365.000 tonnellate di escrementi solidi e in un miliardo di litri di urina. E anche con i gatti non va molto meglio, con 425.000 tonnellate di cibo consumate. Non solo. I gatti hanno anche sulla coscienza 220 milioni di piccoli animali e 55 milioni di uccelli.

BAGNI
Verdissimo: fare il bagno in un fiume.
Per i veri ambientalisti, il bagno è la quintessenza dello spreco di una sostanza vitale. Avendo fatto a meno del bagno quotidiano per millenni, perché preoccuparsi ora di come lavarsi? Un bel salto nel fiume e l'ecosistema è salvo.
Verde scuro: usare un impianto solare o bio-compatibile per la raccolta di acqua piovana
Se proprio volete un bagno con la vasca, che almeno sia riscaldato usando fonti rinnovabili di energia e utilizzando l’acqua piovana.
Abbastanza verde: condividere.
Due docce medie impiegano la stessa acqua necessaria per un bagno in vasca (80 litri). Non solo, se la doccia è riscaldata elettricamente, produce più emissioni nocive e alla fine usa più acqua di un bagno tradizionale. Di conseguenza, entrare sotto la doccia insieme o in rapida successione è un bel modo per risparmiare acqua ed energia.

LAVARE I PIATTI
Verde scuro: lavastoviglie classe AAA, da usare solo quando piene
Le moderne lavastoviglie sono davvero "eco-friendly" (le batte solo l’acqua piovana filtrata) perché utilizzano meno di 15 litri di acqua per ciclo di lavaggio, ovvero solo un quarto di quella che ne serve se lavassimo a mano. Spalmato su un decennio, significa un risparmio di 100.000 litri nella sola Inghilterra.
Niente affatto verde: olio di gomito, ovvero lavare a mano.
Per ottenere lo stesso risultato di una lavastoviglie, soprattutto dopo un pasto pantagruelico, rischiamo di usare almeno 150 litri di acqua e il quadruplo dell’energia, senza contare la faticaccia immane.